Tuesday, November 13, 2012

Toyo view - 1970 (est.)




One of my useless works of the past, lead me to know the widow of a photographer; from her I managed to buy a lot of second hand equipment for a reasonable price.
In some cases, my personal tastes would have conveyed me to different choices, and some kits had to be enlarged to suit my specific needs, but the man must have been quite an expert and his gear was serious and professional, though not at all glamorous.
After the purchase, I was instantly thrown in the premier league of photography, but my personal skills were expected to catch up during the following years. 
One of the most interesting and challenging piece of equipment was surely this excellent monorail studio camera kit, probably from the 70ies.
This is a large format camera, and can handle up to 5X7" sheet film.
If you are after the absolute quality of the image, this is the only type of format you should ever use.
The size of the film is the real deal (the 5X7" area being 27 times bigger than the 35 mm format) and even using very old lenses you are going to vanquish any modern DSLR.
But also the camera itself has some unique features: the simplicity, the modularity and the independent movements of lens and film plane are bestowing on this camera the final professional status. 
As you can see in the pictures, the two main bodies are disposed on the opposite side of the rail, everything else can be tailored for the job on hand.
At the back you can specify various sizes of sheet film holders (4X5", 5X7", 6X9 cm.), roll film holders borrowed from other medium format systems (in this case Mamiya), Polaroid cartridge holders, digital backs.
In the middle you can select from normal or wide angle bellows, or add intermediate extensions for macro photography.
On the front element you can mount a vast selection of new or old hight quality lenses, complete with diaphragm and central leaf shutter.
In my case I had a 1966 Rodenstock Sironar 210 mm. (standard lens for 5X7" format) going from a maximum f stop of 5,6 to a minimum of 64; and I later added a 1959 wide angle lens Schneider Super-angulon 121 mm. with f stops ranging from 8 up to 45.
The inherent focal length of these lenses means they have a very swallow depth of field and, with certain subject, you need such small diaphragm as 45 or 64 to compensate.
But with portrait photography, the combined effect of wider apertures and the seamless tonal rendition of the larger films, gives such a magical atmosphere as no smaller format camera will ever capture, irrespectively of the Mega Pixels involved.  
The large format bokeh (the term defines the quality of the out of focus area of the image), deserves a post on his own.
These lenses are also required to produce an image significantly bigger than the area of the film they were designed for, just to compensate for the movements the camera is capable of. 
The ability to move independently the film plane and the lens plane permits the rise, fall, shift, tilt, and swing movements, giving full control over selective focus planes (to optimize the shallow depth of field) and converging lines (improperly called prospective control).
Some very expensive and specialized lenses for 35 mm film format will offer some sort of control over these parameters, but nothing compared to a monorail camera.
It's revealing that the best possible quality in photography is obtained with such an old type of camera, a camera you are still going to focus with the aid of a black cloth over your head, after nearly two centuries of progress... but thats it!




Unfortunately there are some minor drawbacks that finally confined such kind of camera to uncompromising professionals or diehard enthusiasts.
First of all the size of the camera, the weight, and how fragile it is during transportation are going to rule out most of the outdoor projects; for this use it is far better to consider a field camera, collapsible in its own protective shell but still capable of some basic movements. 
The second problem concerns the sheer amount of work this camera involves; on an assignment for architectural photography I was taking no more than 7 pictures every day of work: to set up the camera and to asses the light conditions with separate equipment and to handle the film in complete darkness, is going to slow down also the more experienced photographer (who usually delegate these operations anyway).
Thirdly you must consider who is going to process or where to get the equipment and the time required to develop each and every sheet of film you exposed.
The established photographer might consider the huge investment required by a digital back, so he will be able to focus directly from the computer display, but this can be done only with studio photography, and surely not for moving subjects, because the capture of the image uses a process similar to the flatbed scanners, gradually registering slices of the global scene, and this is going to turn a portrait session into an MRI Scan.

So yes, it is anachronistic to use this demanding camera in the present day, such is the workflow it involves, but I have seen a bloke in Brugge, in a public square, taking pictures with it, and I have admired him enormously.
... if I ever win a lottery, you might see also me, around the world, playing with my Toyo Wiew. 








Grazie ad uno dei miei balordi lavori del passato, mi è capitato di conoscere la vedova di un fotografo, che mi ha venduto molte apperecchiature di seconda mano ad un prezzo contenuto.
In qualche caso, i miei gusti personali mi avrebbero suggerito scelte diverse, ma è indubbio che quest'uomo fosse un esperto, perchè la sua attrezzatura era seria e professionale, senza essere frivola o appariscente.
Dopo l'acquisto, mi sono ritrovato catapultato nella serie A della fotografia, ma negli anni seguenti ho dovuto faticare molto per adeguare la mia preparazione personale a questi livelli.
Uno degli apparecchi più interessanti e stimolanti era sicuramente questo sistema di fotocamera a banco ottico, probabilmente degli anni '70.
Si tratta di una fotocamera di grande formato, che arriva ad impressionare pellicole piane fino al formato 13X18 cm.
Se siete alla ricerca della massima qualità di immagine possibile, questo è il solo formato di pellicola che dovreste considerare.
Le dimensioni della pellicola da sole rappresentano un'innegabile beneficio (l'area del fotogramma da cm. 13X18 è 27 volte più grande del formato 35 mm.) e anche usando vecchi obiettvi si finisce con l'umiliare qualsiasi reflex digitale moderna.
Tuttavia, sono le caratteristiche della fotocamera stessa che la pongono su un'altro piano: la sua semplicità, l'architettura modulare ed i movimenti indipendenti del piano pellicola e dell'obiettivo, conferiscono all'apparecchio uno status professionale.
Come si può vedere dalle immagini, i due corpi mobili sono disposti agli estremi del binario, tutti gli altri componenti sono selezionati in base al lavoro da svolgere.
Sul dorso si possono utilizzare chassis per pellicola piana (da cm. 6X9, 10X13, 13X18), adattatori per magazzini di pellicola in rullo presi a prestito da sistemi di medio formato (in questo caso Mamiya), dorsi polaroid, dorsi con sensore digitale.
Nel mezzo si può selezionare un soffietto standard oppure uno grandangolare oppure aggiungere ulteriori corpi intermedi per la fotografia macro.
Nella parte frontale si possono montare vari obiettivi di grande qualità, vecchi o nuovi, completi di diaframma e otturatore centrale.
Nel mio caso mi sono ritrovato con un Rodenstock Sironar del 1966, 210 mm. (focale standard per il formato 13x18 cm.) con un diaframma che va da un massimo di f 5,6 ad un minimo di f 64; successivamente ho aggiunto uno Schneider Super-Angulon del 1959, 121 mm. diaframma da f 8 a f 45.
Le elevate lunghezze focali di questi obiettivi, determinano la loro scarsa profondità di campo quindi, con determinati soggetti, diventa indispensabile compensare con valori di diaframma come 45 o 64.
Nella fotografia di ritratto, però, l'effetto combinato dei diaframmi più aperti e del delicato passaggio tonale reso possibile dal grande formato della pellicola, restituisce un'atmosfera magica, fuori dalla portata di qualsiasi fotocamera di piccolo formato, indipendentemente dal numero di Mega Pixel.
Il bokeh (termine traducibile come l'estetica delle parti sfocate di un'immagine) proprio del grande formato, merita un post a parte.
Dagli obiettivi di grande formato si pretende che proiettino un'immagine significativamente più grande rispetto all'area della pellicola per cui sono stati progettati, questo per compensare i movimenti di cui è capace l'apparecchio a banco ottico.
La possibilità di muovere indipendentemente il piano della pellicola e la piastra dell'obiettivo permettono scorrimenti, decentramenti e basculaggi, consentendo il pieno controllo del piano di messa a fuoco selettiva (per ottimizzare la scarsa profondità di campo propria delle focali utilizzate) e la convergenza delle linee (impropriamente chiamato controllo prospettico).
Esistono costosi obiettivi specialistici per il formato 35 mm. che consentono un minimo intervento su questi parametri, ma non è niente in confronto a quello che consente il banco ottico.
Ritengo significativo che la massima qualità fotografica possibile sia esclusivo dominio di una fotocamera così antiquata, una fotocamera che ti costringe a mettere un telo nero sulla testa per la messa a fuoco dell'immagine, dopo quasi due secoli di progresso... ma questo è quanto!




Sfortunatamente ci sono anche delle piccole controindicazioni che confinano questo tipo di fotocamere nelle mani di inflessibili professionisti oppure irriducibili amatori.
Prima di tutto gli ingombri dell'apparecchio, il suo peso e la sua fragilità durante il trasporto lo rendono inadatto alla maggior parte degli impieghi in esterno; in questi casi sarebbe meglio optare per le field camera, che si possono ripiegare nel loro stesso guscio, ma sono pur sempre capaci di qualche limitato movimento.
Il secondo problema consiste nella mole di lavoro che questi apparecchi richiedono; durante un incarico per delle foto di architettura d'interno, non riuscivo a scattare più di 7 immagini al giorno: impostare il banco ottico, valutare la luce con un sistema esterno e maneggiare le pellicole nel buio più assoluto, finirebbe per rallentare anche il fotografo più esperto (che di fatto tende a delegare queste operazioni).
Terzo bisogna considerare quale laboratorio sarà in grado di trattare questi materiali sensibili, in alternativa dove trovare gli strumenti ed il tempo per sviluppare e stampare ciascuno di questi negativi da soli.
Il fotografo affermato potrebbe prendere in considerazione il considerevole investimento necessario per un dorso digitale compatibile con il grande formato, che gli consentirebbe di mettere a fuoco direttamente sullo schermo del computer; ma questo può funzionare solo all'interno di uno studio e solo per soggetti statici, perchè l'acquisizione dell'immagine è simile al procedimento utilizzato negli scanner piani, con una progressiva registrazione di sezioni lineari dell'intera scena: c'è il serio pericolo di trasformare una sessione di ritratto in un esame di risonanza magnetica.

Quindi si, è anacronistico pensare di utilizzare una fotocamera così impegnativa ai giorni nostri, con il lavoro certosino che richiede, ma ho visto personalmente un fotografo in una piazza di Brugge, che scattava fotografie proprio con questo tipo di apparecchio e l'ho stimato molto.
Se un giorno dovessi vincere al Superenalotto, potreste vedere anche me, in giro per il mondo, a giocare con la mia Toyo view.




Let the good times click.